Gender gap: Nel 2022 solo il 36% delle donne ha avuto Un aumento salariale Rispetto al 50% degli uomini

25 maggio, 2023

  • Secondo il rapporto “People at Work” dell'ADP® Research Institute, la retribuzione maschile è aumentata del 5,8% lo scorso anno, rispetto al 5,2% di quella femminile
  • Il 48% delle donne intervistate si ritiene sottopagata
  • Dalla ricerca emerge inoltre che sette italiani su dieci (70%) pensano che il divario retributivo all’interno della propria azienda sia rimasto uguale o peggiorato rispetto a tre anni fa, mentre solo il 23% pensa che la situazione sia migliorata
  • Con una percentuale del 44%, l’Italia è il Paese che a livello mondiale ha avuto meno aumenti salariali negli ultimi 12 mesi.

Secondo il sondaggio People at Work 2023 dell'ADP® Research Institute, condotto su oltre 32.000 lavoratori in 17 paesi (2mila lavoratori in Italia), nel 2022 gli aumenti salariali a livello mondo sono stati in media del 6,7% per gli uomini rispetto a solo il 6% per le donne. Nel prossimo anno, gli uomini prevedono di vedere la loro retribuzione aumentare in media dell'8,5%, mentre le donne prevedono aumenti salariali solo dell'8%.

In base alla medesima ricerca, lo scorso anno in Italia il 44% dei dipendenti ha ottenuto un incremento medio dello stipendio pari al 5,5%. Gli uomini affermano che la loro retribuzione è aumentata del 5,8% lo scorso anno, rispetto al 5,2% delle donne. Hanno ottenuto un aumento il 50% degli uomini e il 36% delle donne.

Sempre del 44% è la percentuale degli italiani che si aspetta che la propria retribuzione aumenti nei prossimi 12 mesi (le aspettative sono le medesime tra donne e uomini). Gli uomini si aspettano che la loro retribuzione aumenti dell'6,36% nei prossimi 12 mesi, contro l'6,25% delle donne, un dato abbastanza paritario.

Il Parlamento europeo sta cercando di intervenire direttamente sul problema del divario retributivo, e un grosso passo avanti è stato fatto con l’approvazione della direttiva sulla trasparenza salariale, che pone fine al cosiddetto “segreto retributivo”.

In base alle nuove norme, le imprese dell'UE saranno tenute a fornire informazioni sulle retribuzioni e a intervenire se il divario retributivo di genere supera il 5%.

Lo stesso Consiglio Europeo dichiara “la trasparenza può contribuire a dotare i lavoratori e le lavoratrici dei mezzi necessari per far valere il loro diritto alla parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso una serie di misure vincolanti. La mancanza di trasparenza retributiva è stata individuata come uno dei principali ostacoli all'eliminazione del divario retributivo di genere”.

In Italia, si sente sottopagato il 48% delle donne, mentre la percentuale scende al 43% per quanto riguarda gli uomini.

Marcela Uribe, General Manager Southern Europe di ADP, commenta: "Nonostante l’acceso dibattito in merito al divario retributivo di genere, il, problema sta peggiorando. Gli aumenti salariali delle donne semplicemente non tengono il passo con quelli degli uomini e, durante un periodo inflattivo così grave, il problema è più grave che mai. In un momento in cui molte persone stanno affrontando vere difficoltà finanziarie, le donne stanno ancora una volta subendo la situazione peggiore. È importante che i datori di lavoro dispongano di sistemi solidi per rilevare incoerenze e disuguaglianze nell'importo retribuito del personale in modo da poter affrontare eventuali divari retributivi di genere. In caso contrario, tale ingiustizia potrebbe perpetuarsi, portando alla mancanza di motivazione e minando la lealtà nel migliore dei casi, innescando un esodo di talento femminile che danneggerebbe gravemente la reputazione dell’azienda stessa, minando al suo cosiddetto employer branding”.

Dalla ricerca emerge inoltre che un italiano su 4 (23%) pensa che rispetto a tre anni fa il divario retributivo sia migliorato all’interno della propria azienda, ma il 50% pensa che la situazione sia la medesima, e il 20% che sia addirittura peggiorata.

DISCRIMINAZIONE SALARIALE ANCHE TRA I PIU’ GIOVANI E ANZIANI

Anche i lavoratori più giovani e anziani credono che saranno trascurati dai loro datori di lavoro quando si tratta di aumento di stipendio e bonus nell'anno a venire.

Il 44% della fascia di età della "Generazione Z" (18-24 anni) prevede di ricevere un aumento di stipendio nei prossimi 12 mesi, in linea con la media italiana. La percentuale cresce al 53% nella fascia 25-34, al 45% in quella 35-44, e scende al 38% in quella 45-54 e al 36% tra i 55+.

Allo stesso modo, solo un quarto (23%) della Generazione Z e di coloro che si avvicinano all'età pensionabile (25%) credono di essere in linea per un bonus, contro circa 1 su 3 dei loro colleghi.

Secondo Marcela Uribe: “Ignorare sia i lavoratori esperti sia i giovani talenti potrebbe rivelarsi una scelta miope, anche se per molti ha un senso dal punto di vista finanziario. Le competenze e il potenziale dei lavoratori più o meno esperti potrebbero andare perduti se i lavoratori pensassero di poter ottenere una retribuzione più alta altrove. I datori di lavoro devono impegnarsi con la nuova generazione che entra nel mercato del lavoro, non dimenticandosi del know how delle generazioni più anziane”.

CONFRONTO A LIVELLO INTERNAZIONALE

Dal grafico emerge chiaramente come ancora una volta l’Italia sia il fanalino di coda per quel che riguarda gli stipendi: con una percentuale del 44% è il Paese che afferma di aver avuto meno aumenti negli ultimi 12 mesi. La seconda percentuale più bassa (50%) è quella cinese, la più alta è quella Argentina (85%). L’Italia rimane in media per quel che riguarda la percentuale di aumento (5,5%) ma scende sulle aspettative per i prossimi 12 mesi (44%) dove i più fiduciosi sono gli indiani (90%).

FINE

Informazioni sul report

People at Work 2023: A Global Workforce View esplora gli atteggiamenti dei dipendenti nei confronti del mondo del lavoro attuale e ciò che si aspettano e sperano dal posto di lavoro del futuro.

ADP Research Institute® ha intervistato 32,612 lavoratori in 17 Paesi nel mondo tra il 28 ottobre il 18 novembre 2022, comprese 8,613 persone che lavorano esclusivamente nella gig economy. Ciò ha incluso:

  • 7,721 in Asia Pacifico (Australia, Cina, India e Singapore)
  • 15,290 in Europa (Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Svizzera e Regno Unito)
  • 5,751 in America Latina (Argentina, Brasile e Cile)
  • 3,850 in Nord America (USA e Canada).

All'interno del campione di lavoratori sono stati identificati i gig worker e i lavoratori tradizionali. I gig worker sono stati identificati come coloro che lavorano su base occasionale, temporanea o stagionale, oppure come freelance, lavoratori indipendenti, consulenti, gig worker o che utilizzano una piattaforma online per trovare lavoro. I dipendenti tradizionali sono stati identificati come coloro che non lavorano nella gig economy e hanno invece una posizione permanente a tempo pieno o parziale.

Il sondaggio è stato condotto online nella lingua locale. I risultati complessivi sono stati ponderati per rappresentare la dimensione della popolazione attiva per ciascun paese. Le ponderazioni si basano sui dati sulla forza lavoro della Banca Mondiale[1], che sono derivati utilizzando i dati del database ILOSTAT, il database statistico centrale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), a partire dall'8 febbraio 2022.

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[1] Source: The World Bank, Labor force, total, World Development Indicators database, February 8 2022