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Se HR e Finance collaborano la produttività è salva
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Intervista a Gianfranco Raia, Southern Europe CFO di ADP
Di Alessandro Gastaldi, intervista estratta da “Persone e Conoscenze” n.180
Il rapporto tra esigenze economiche e soddisfazione dei lavoratori è centrale per la produttività aziendale. In Italia, quasi la metà dei dipendenti si sente sottopagata e il contesto sfavorevole, con salari stagnanti e alti costi del lavoro, aggrava il problema. La collaborazione tra Direzione del Personale e Finance diventa quindi strategica, specialmente nel monitorare e nel ridurre costi nascosti, come quelli derivanti da infortuni e turnover. Investimenti in tecnologia e Kpi efficaci offrono una gestione più trasparente dei costi del personale, facilitando decisioni rapide e consapevoli. Un rapporto positivo tra queste funzioni supporta la crescita sostenibile e aumenta il valore delle persone in azienda, fondamentali anche in un contesto sempre più automatizzato.
Per quanto possiamo convincerci che le esigenze e i desideri delle persone siano cambiati, la componente economica rappresenta ancora un fondamentale punto d’incontro (o di distanza) con l’azienda. I soldi non faranno la felicità, ma se in Italia i salari fossero in linea
con quelli del resto d’Europa, potremmo immaginarci imprese più sane e persone più soddisfatte. Gli anglosassoni direbbero che i soldi sono uno state of mind: la condizione finanziaria influenza la nostra vita, il nostro benessere fisico e psicologico e, non per
ultimo, il modo in cui lavoriamo. Anche da qui passa la produttività delle aziende. In particolare, è dal rapporto tra HR e Finance trasparente e positivo che si possono sviluppare nuove strategie di business. Secondo il report People at work 2024 di ADP, multinazionale fornitrice di software e servizi per la gestione delle Risorse Umane, il 45% dei lavoratori italiani si sente sottopagato: quasi la metà della nostra popolazione lavorativamente attiva ritiene di non avere un compenso in linea con le proprie esigenze di vita e con il proprio contributo. Invertire questo trend è di vitale importanza per tutte le imprese.
In quale contesto economico si trovano oggi ad agire organizzazioni e collaboratori?
Oramai ne siamo consapevoli, il mercato del lavoro italiano sta scontando gli effetti di alcune criticità strutturali che lo attanagliano da anni, in particolar modo mi riferisco all’alto costo del lavoro, alla scarsa formazione del personale e alla limitata diffusione del welfare aziendale. All’interno di questo quadro, come riportato anche da Eurostat, si aggiunge il fatto che a differenza del resto d’Europa, la nostra produttività reale è sostanzialmente piatta da 20 anni. Individuo, in buona sostanza, quattro cause principali di questa situazione: la difficoltà e i costi del fare impresa
in Italia; il basso livello di competenze; i risicati investimenti in Ricerca e Sviluppo; il divario tra Nord e Sud. La situazione in cui le imprese si trovano ad agire è, quindi, tutt’altro che agevole: tutto questo impatta sulla qualità del lavoro delle persone, sui risultati aziendali e sui costi che le organizzazioni devono affrontare, la cui crescita è difficile da gestire.
Iniziamo dal costo del lavoro: come affrontare la questione?
Quando si parla di costo del lavoro, purtroppo, le aziende hanno difficoltà ad avere una visione
complessiva e realistica dei propri conti. Questo è dovuto a una sorta di miopia da parte di HR e Finance, spesso troppo concentrati a contenere le componenti dirette, come il salario, le ferie o i bonus, senza osservare ciò che accade sotto la ‘superficie’. Mi riferisco a quei costi nascosti difficili da individuare e da calcolare, ma che in realtà impattano sensibilmente sull’andamento dell’azienda. Un esempio lampante e quantitativamente rilevante è rappresentato dal costo degli infortuni: alcuni studi di settore rivelano come, mediamente, un infortunio grave possa costare fino
a cinque volte il valore della retribuzione annua del lavoratore vittima dell’incidente. Strettamente legato al tema della salute dei collaboratori è l’assenteismo che, come emerso da un recente rapporto di Confindustria, nel 2023 ha compromesso il 7,4% delle ore di lavoro potenziale, ovvero un giorno su 10.
Perché serve una nuova collaborazione tra HR e Finance?
Guardando questi dati emerge in modo plateale l’importanza del rapporto tra HR e Finance, chiamati a lavorare di comune accordo per migliorare, in linea generale, la qualità dell’esperienza occupazionale delle persone, al fine di aumentare benessere e ingaggio.
Da questi due ultimi elementi, infatti, dipendono sia l’assenteismo sia il turnover. Mediamente, il costo di una dimissione si aggira intorno al 50% della
retribuzione annua del lavoratore che lascia l’azienda, perché l’impresa deve poi farsi carico della ricerca del sostituto e della relativa formazione, indispensabile per recuperare almeno in parte il know how perduto. Considerando l’attuale dato di turnover medio a livello di sistema, le analisi portano a quantificare il costo complessivo delle fuoriuscite pari a un valore annuo che equivale al 16% del costo del personale nel suo aggregato.
Quali strategie possono essere adottate per individuare e gestire in modo più efficace questi costi?
Avere visibilità di questi costi nascosti oggi è molto più semplice. La componente tecnologica, evidentemente, è quella che ci permette di ampliare la nostra conoscenza dei processi aziendali e lo stesso succede su questo fronte, con la digitalizzazione delle due funzioni coinvolte. Innanzitutto, è necessario dotarsi di strumenti all’avanguardia, in grado di scandagliare tutte le voci di costo legate al personale e di creare, successivamente, dei Key performance indicator (Kpi) da monitorare con semplicità e flessibilità. Avere a disposizione informazioni in tempo reale rappresenta per i manager un grande vantaggio strategico, dando loro sia la possibilità di prendere decisioni in modo più celere e consapevole sia di monitorare i conseguenti
risultati. Per un HR manager o un Chief Financial Officer (CFO) stiamo parlando di un vero e proprio cambio di paradigma: turnover e retention, benessere, formazione ed engagement sono tutte sfere che, con le giuste tecnologie, possiamo oggi leggere in termini quantitativi e oggettivi.
Torniamo al rapporto tra HR e Finance: in che modo favorire la collaborazione tra queste funzioni?
La relazione tra HR manager e CFO è complessa per propria natura. Ciò, storicamente, è dovuto all’idea che le organizzazioni hanno sempre avuto delle risorse umane, considerate come una fonte di costo, piuttosto che di valore. Oggi, nella maggioranza dei casi questa visione
è stata superata e da qui si può iniziare a costruire, partendo da un presupposto importante: HR e Finance hanno come obiettivo comune la crescita sostenibile dell’azienda e, con questa prospettiva, lavorano per ridurre i rischi e per massimizzare le opportunità. Da una parte, quindi, le Risorse Umane investono su Talent acquisition, formazione e strategie di retention, mentre il Finance guarda all’allocazione delle risorse, cercando di ottimizzare i costi e massimizzare i ricavi.
Non vede un conflitto tra le due funzioni?
Forse una volta erano ritenute in contrasto, perché oggi ruoli e rispettivi interessi sono invece perfettamente conciliabili, a patto che vi sia comprensione reciproca delle esigenze dei dipendenti e dei vantaggi che l’azienda trae dagli investimenti in People management. Un CFO sa bene che un team composto da persone qualificate e motivate porta benefici di business all’azienda; si tratta
solo di dare visibilità a questa evidenza. Qui si inseriscono gli strumenti digitali – ne è un esempio Infobudget – che, come una vera e proprio torre di controllo dei costi del personale, permettono di monitorare le spese e il ritorno sugli investimenti, simulando scenari di business a breve, medio e lungo termine.
Ci sta dicendo che nell’era dell’Intelligenza Artificiale, le persone restano la leva di successo delle imprese?
Assolutamente sì. Anzi, saranno proprio i settori soggetti a un alto tasso di automazione a dover valorizzare maggiormente le proprie persone e, quindi, a dover gestire i relativi costi. Dal mio punto di vista, sono tre gli aspetti da prendere maggiormente in considerazione nell’approcciarsi al tema. Innanzitutto, è fondamentale definire il giusto livello di dettaglio, entrando nel merito di quei costi nascosti di cui parlavo prima. Il secondo aspetto è legato alle metriche e, in questo caso, il CFO può aiutare la Direzione HR nell’individuare i Kpi più rilevanti, come i dati sul turnover o il costo per assunzione. Infine, c’è un ultimo elemento che ritengo estremamente importante: la flessibilità.
Aziende, manager, collaboratori e tecnologie dovranno essere sempre più duttili e reattivi al cambiamento, sapendo affrontare sia le novità più tangibili – come una nuova norma – sia i fenomeni di massa che coinvolgono interi settori ed economie.

Gianfranco Raia, CFO Southern Europe ADP